La Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano si trova in località San Casciano (a Settimo), nel comune di Cascina. Fu edificata nel XII secolo, sulle fondamenta di un edificio precedente ricordato in un documento del 970. Alla costruzione della pieve collaborò anche il celebre scultore Biduino, autore dell’architrave del portale centrale, raffigurante la Resurrezione di Lazzaro e l’Ingresso a Gerusalemme e corredato da due iscrizioni che riportano la firma dell’autore e la data 1180. Tra le altre opere del Biduino si ricordano alcune sculture della facciata del Duomo di Pisa, il portale della Chiesa di San Leonardo al Frigido a Massa, gli architravi della facciata della chiesa di San Salvatore a Lucca e le decorazioni della facciata della Pieve di San Paolo a Capannori.
Dalla pieve dei SS. Ippolito e Cassiano dipendevano nel XIV secolo ben 23 chiese minori. A San Casciano era presente anche un castello oggi scomparso (il castello di San Casciano del Val d’Arno pisano) e nelle proprietà della pieve risiedevano per lunghi periodi alcune famiglie della nobiltà pisana )in una villa del pievato si rifugiò nel XIII secolo il Conte Ugolino).
Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano è un armonico esempio di chiesa in stile romanico, costruita con pietre verrucane lavorate a scalpello e decorata all’esterno da importanti sculture architettoniche: i leoni con preda umana agli spigoli della facciata, la testa gentilesca che campeggia nell’arcata cieca centrale, le mensole, le cornici e i capitelli nella parte inferiore della facciata e i tre mirabili architravi che sovrastano i rispettivi ingressi, quello centrale opera del Biduino, quello sinistro con animali e scene di caccia e quello destro con due ippogrifi che circondano un montone. La facciata, parzialmente incompiuta, è suddivisa in cinque arcate cieche con tre portali e presenta tarsie di varie grandezze e forme geometriche.
Particolarmente complessa è la storia del campanile della pieve: quello originario, a forma di torre, sorgeva sul sagrato antistante la pieve ma dopo essersi rovinato ne venne costruito uno nuovo sull’angolo destro della facciata, crollato a sua volta a metà dell’Ottocento. Un terzo campanile, alto 29 metri, venne ultimato a fianco dell’abside nel 1897 ma ebbe vita breve: nel luglio del 1944 crollò dopo essere stato colpito dall’esercito tedesci Un piccolo campanile venne successivamente edificato su iniziativa del pievano e con l’aiuto dei paesani ma venne a sua volta abbattuto nel 1979 e fu sostituito dall’attuale campanile in forma moderna (e assai stridente con il corpo antico della chiesa).
L’interno del monumento pisano è a schema basilicale a tre navate divise da 12 colonne e 2 pilastri, con abside semicircolare e soffitto ligneo a capriate. I capitelli sono prevalentemente in stile corinzio con motivi vegetali, animali e antropomorfi e provengono da chiese e templi precedenti.
All’interno si conservano un antico fonte battesimale monolitico a immersione, in semplice forma ottagonale, risalente probabilmente all’XI secolo e una terracotta della bottega di Andrea della Robbia raffigurante il Battesimo di Gesù, dai colori vivaci e brillanti (sulla parete destra dell’ingresso). Oltre all’imponente crocifisso dell’altare maggiore, la chiesa conserva due grandi crocifissi lignei del XVI secolo di autore ignoto (a destra dell’altare maggior e all’inizio della navata sinistra).
Ai vari altari si trovano delle grandi tavole dipinte tra il XVI e XVIII secolo e recentemente restaurate: nella navata destra “S.Biagio e S. Antonio da Padova” (attributo a Domenico Salvi e “S.Anna con la Vergine e i Santi Giovanni Battista e Bartolomeo” (di autore ignoto del XVII-XVIII sec.) mentre nella navata sinistra si ammirano “S.Francesco e Frate Leone a La Verna “(di Francesco Gaddi) e “L’Annunciazione” (attribuita a Jacopo Benedettini detto il Sordo). Sopra la porta d’ingresso si trova un grande organo a canne donato nella prima metà dell’Ottocento alla chiesa dal popolo di S. Casciano, al quale si è aggiunto un secondo organo di recente fattura, posto dietro l’altare maggiore: la combinazione del suono dei due organi è particolarmente suggestiva. Sulla destra dell’altare maggiore è conservata la reliquia di S. Vitale Martire.
Visite (gratuite): la domenica prima delle funzioni della messa che si tiene alle ore 8:30 e alle ore 11:30.
Pieve dei Santi Ippolito e Cassiano (piazza San Casciano 1, San Casciano di Cascina, Cascina)
Per informazioni: tel. 050 740703
Uscendo da Montecastelli, prendendo la strada che porta a Castelnuovo Val di Cecina ci si imbatte in una delle più suggestive testimonianze degli insediamenti umani in Val di Cecina: il piccolo ipogeo etrusco, chiamato “Buca delle Fate“, che risale al VI secolo a.C. Si tratta di una cavità, scavata nel masso calcareo, a pianta quadrangolare e sorretta al centro da un pilastro. Ai lati della stanza si diramano i cunicoli che conducono a piccoli ambienti tombali: giacigli che accoglievono i corpi dei defunti. La tomba, priva oggi di qualsiasi arredo molto probabilmente già depredata nei tempi antichi, è stata utilizzata anche in epoche successive, come attesta la fitta simbologia paleocristiana scolpita sulle pareti e sul pilastro centrale. La Buca delle Fate costituì infatti un rifugio per i fedeli al tempo delle persecuzioni cristiane e ariane effettuate in epoca romana.
Buca delle Fate – (Uscendo da Montecastelli in direzione di Castelnuovo Val di Cecina).
Accesso gratuito (dall’alba al tramonto).
]]>In via San Martino, all’altezza del civico 21 presso Casa Tizzoni è collocata una statua romana dedicata a Kinzica de Sismondi. Si tratta di un bassorilievo proveniente da un sarcofago del III secolo d.c. e raffigurante una musa (o una matrona).
Il volto è stato in parte rielaborato nel XII secolo quando la cittadinanza e le maestranze pisane decisero di dedicare la statua alla giovane Kinzica De’ Sismondi per aver salvato Pisa (nei primi decenni del XI secolo).
Una notte infatti la ragazza si accorse che i saraceni erano entrati in città: prima che i pirati mettessero a ferro e a fuoco la città, Kinzica riuscì a dare l’allarme avvisando i Consoli che allertarono la popolazione facendo suonare le campane della Torre del palazzo degli Anziani.
Fallito l’attacco a sorpresa i Saraceni si ritirarono.
Secondo un’altra versione della leggenda, la stessa Kinzica guidò la rivolta incitando i soldati a resistere e a sconfiggere gli invasori fino ad ottenere una netta vittoria contro i “pirati”.
]]>Il museo è costituito da tre collezioni: quella Shiff Giorgini (la più imponente), quella Picozzi e quella degli Ostraka demotici di Ossirinco.
La prima sala è dedicata all’archeologa Michela Shiff Giorgini che lavorò nei siti in territorio sudanese di Soleb e Sedeinga.
“Il Dorso” in diorite del Faraone Amenofi III, appartenente a una statua a grandezza naturale del dio-sovrano e la “Testa” del Faraone stesso, provengono dal tempio di Soleb dedicato ad Amon (Amone) e al faraone Amenofi III.In fondo alla sala si può ammirare il “Blocco di granito con il rilievo di Amenofi III” (XIV secolo a.c.) era invece uno dei blocchi della Cappella per la barca di Amon, un edificio sacro antecedente alla costruzione del tempio.
La vetrine sul lato destro ospitano una serie di reperti rinvenuti sempre nella necropoli di Soleb dove furono sepolte persone di alto lignaggio (funzionari, sacerdoti, dignitari) che avevano lavorato alla costruzione del tempio.
Nella prima vetrina sono esposti amuleti, statue funerarie, e monili di bronzo e argento tra cui un “anello con iscrizione geroglifica”.
Nella seconda vetrina si trovano uno “Specchio di bronzo dorato” e un “Grande scarabeo commemorativo” di Amenofi III con testo geroglifico sulla base e lo “Scarabeo del cuore di scisto nero” con il testo che riporta il capito 30/b del Libro dei morti: il defunto chiede al proprio cuore di non testimoniare contro di lui durante il giudizio nel regno di Osiride.
La vetrina sinistra contiene invece vasi e lucerne rinvenuti in un’altra necropoli dove ha lavorato la Shiff Giorgini: quella di Sedeinga (sempre in Sudan) dove Amenofi III aveva fatto edificare un altro tempio dedicato alla dea Hathor e a Tii, la moglie del faraone.
Nella parete dove è situata la porta di accesso alla sala sono stati collocati alcuni elementi architettonici delle tombe di Sedeinga, come lo “Stipite con la raffigurazione di Anubi” (III secolo a.c.).
Al centro della sala si trova una dei pezzi forti del museo: il “Calice con iscrizione greca” (III secolo a.c.): questa recita “bevi e possa tu vivere”, una formula che troverà poi grande diffusione in ambito cristiano.
Esternamente sono raffigurati il dio Osiride e alcuni personaggi che gli portano delle offerte e il calice è stato colorato con sette colori, per cinque dei quali è stato necessario procedere a una seconda “cottura” in modo da ottenere un effetto smaltante. Dopo la colorazione è stata applicata la foglia d’ora: il calice è un’opera d’arte realizzate al tempo da artigiani qualificatissimi.
Nella seconda sala sono ospitate le altre due collezioni egittologiche. In un mobile realizzato in stile egittizzante è collocata la collezione Picozzi. Si tratta di reperti recuperati da Gaetano Rosellini come scarabei, piccole statue, un copricapo e monili nubiani e urne nelle quali è raccolta la sabbia del deserto.
Nella vetrina accanto sono invece poste bende funerarie provenienti dalla tomba del visir Nebneteru a Gurna-Tebe Ovest.
Di fronte è ospitata la terza collezione, gli Ostraka: vasellame di terracotta o ossi di animali utilizzati nell’antichità come supporto per scrivere. La maggioranza di questi sono scritti in demotico, provengono da Ossirinco e sono risalenti all’epoca dell’antica Roma.
Infine nell’ultima teca sono esposti la testolina mummificata di un piccolo coccodrillo e quattro uova (due delle quali hanno all’interno l’embrione di coccodrillo) rinvenuti nel tempio di Medinet Madi dedicato a Sobek, il dio dalla testa di coccodrillo.
Il museo delle Collezioni Egittologiche comprende anche l’Archivio (Evaristo) Breccia che raccoglie lettere, manoscritti, appunti e disegni di monumenti e reperti e fotografie di scavi eseguite dal celebre egittologo, che fu rettore dell’università di Pisa e direttore del museo greco-romano di Alessandria di Egitto.
Foto pubblicate per gentile concessione de Le Collezioni Egittologiche dell’Università di Pisa.
Le Collezioni Egittologiche
via san Frediano 12
Telefono 050/28515
e-mail [email protected]
Web www.fondazionegalileogalilei.it/museo/
Accesso disabili no
Ingresso gratuito (solo su prenotazione): da lunedì al venerdì
Si consiglia di organizzare la prenotazione 15-10 giorni prima della data desiderata.
Deve il suo nome al fatto che fino al XIV secolo vi erano campi coltivati nelle vicinanze pur essendo la chiesa all’interno della cinta muraria.
La parte più bassa della facciata di San Paolo all’orto è in marmo con fasce bicrome sfoggia losanghe, rosoni, arcate e sculture nel segno dello stile romanico-pisano.
Dal 2004 la Chiesa sconsacrata di San Paolo all’Orto è sede della Gipsoteca Archeologica istituita, in altra sede, nel 1887 dai docenti di archeologia dell’Università di Pisa. Solo una parte dei calchi di gesso è esposta e questa comprende comunque gli esempi più note delle statue dell’epoca “classica” e “ellenistica”.
Tra le copie esposte nella Gispoteca archeologica si segnalano “l’Hermes di Olimpia“, “l’Afrodite di Melos“, “il gruppo dei Tirannicidi Ateniesi“, “il Busto di Atena“, “la Lupa capitolina”, “la Penelope Dolente” , il gruppo del Laocoonte e opere del rilievo funerario etrusco.
Chi non ha la possibilità o il tempo per recarsi nei musei che conservano questi capolavori, visiti la gipsoteca per avere una bella idea dell’aspetto e della maestosità di tali statue.
San Paolo all’Orto e la Gispoteca archeologica
Piazza san Paolo all’Orto numero 20
Web http://www.sma.unipi.it/it/gipsoteca-di-arte-antica.html
Ingresso gratuito mercoledì dalle 8,30 alle 13,30 e dalle 14,00 alle 17,00
Per visite (di gruppo) negli altri giorni ed orari chiamare il numero 3463236607 (Attilio Tramonti)
Ingresso gratuito
Il monumento più antico di Pisa è un complesso sepolcrale incentrato sulla tomba di un “nobile” etrusco edificata nell’VIII secolo avanti cristo e battezzato Tumulo del Principe Etrusco.
Dai reperti rinvenuti doveva trattarsi di una persona di alto rango: un ricco commerciante specializzato in attività marinare, un militare o un capo pirata come lascia supporre il tridente di ferro trovato all’interno della tomba.
Nei pressi dell’altare sono stati trovati dei resti bruciati: quelli di un animale (probabilmente un ovino), di vasellame e di un Kolossos, statuette (in metallo, legno o in ceramica), destinate a sostituire il defunto in un rito funebre quando non era possibile recuperare il cadavere (nel tumulo infatti non sono stati trovati i resti umani del defunto Principe).
L’importanza del Principe è evidente anche dalla struttura del complesso: al centro c’è il tumulo circolare (ha un diametro di 30 metri) circondato da una serie di tombe più piccole contraddistinte da sottili lastre di pietra messe in posizione verticale.
In cima al tumulo è posto l’altare , una spessa lastra di marmo trovata divisa in due (spezzata durante il rito funebre a colpi di mazza) e sulla quale erano posti un coltello, una mascella di cavallo e quattro piccole spade. Sempre sopra al tumulo ci sono quattro sepolture (a incinerazione) probabilmente riservate ai familiari del principe.
La necropoli è stata in uso fino al V secolo a.c.
Tumulo del Principe Etrusco
Indirizzo via san iacopo
Visite gratuite solo su prenotazione contattando l’azienda Pisamo (Tel. 050/2207284)
Si consiglia di prenotare con qualche giorno di anticipo per visitare il tumulo nella data desiderata.
Il Museo raccoglie “esemplari” di animali domestici o da produzione zootecnica. Un nucleo importante e raro è costituito dai preparati riguardanti i dromedari provenienti dalla tenuta di San Rossore, dove erano ospitati fino al 1976, mentre la specie più rappresentata è il cavallo, per la sua importanza nell’evoluzione storico-sociale dell’uomo.
Gli esemplari sono esposti per categorie: organi dell’apparato digerente, arti anteriori e posteriori, cuore e apparato cardiocircolatorio (inclusi reperti di specie umana), placente, complessi testa-collo-torace, apparati riproduttori, dentizioni (dal cui grado di usura si ricava l’età dell’animale).
Molto ricca è la collezione di scheletri completi, tra i quali spiccano due esemplari di dromedario (adulto e neonato), scheletri di animali della Macchia Mediterranea e in particolare della tenuta di San Rossore (cervo, daino, airone), esemplari di animali esotici estinti e scheletri dei principali animali da produzione zootecnica e domestica.
Completano l’esposizione la collezione ottocentesca di preparati teratologici ovvero di mostruosità in natura (scheletri, preparati essiccati, imbalsamati, impagliati e conservati in alcool) e alcune mummie naturali. Preziosi documenti storici e testi antichi dal Seicento in poi sono custoditi nella Biblioteca.
Il Museo Anatomico Veterinario è a disposizione dei visitatori che desiderino fare un’interessante esperienza didattica e culturale: grazie alla guida del personale esperto si scoprono infatti molte curiosità sugli animali che ci circondano, vincendo l’impressione iniziale del profano che potrebbe suggestionarsi di fronte a reperti con cui si ha in genere pochissima dimestichezza. Vengono inoltre organizzati laboratori didattici di anatomia degli animali domestici per le scuole elementari, medie inferiori e superiori.
Foto pubblicate per gentile concessione del Museo Anatomico Veterinario.
Museo Anatomico Veterinario
Viale delle Piagge, 2
Tel. 050/2216856
web www.vet.unipi.it/museo
Accesso disabili parziale
Ingresso gratuito ma solo tramite visite guidate su prenotazione (con l’eccezione di aperture straordinarie (per esempio per la Fiera di Sant’Ubaldo, dai quattro ai sette giorni di festa previsti intorno a metà maggio.
Contatti:
Alessandra Coli: Tel. 050/2216856 cell. 3356003798 e-mail [email protected])
Per gli studenti l’accesso è libero e secondo l’orario del Dipartimento per gli studenti
Incastonata tra i palazzi sul Lungarno Pacinotti, è attestata dal 1150 col nome di San Salvatore a Porta d’Oro per la vicinanza a un’antica porta delle mura altomedievali. Alla Chiesa fu dato il nome di Madonna dei Galletti nel 1640, dopo il ritrovamento in una casa in demolizione della famiglia pisana dei Galletti dell’affresco della Madonna col Bambino, opera tardo trecentesca del senese Taddeo di Bartolo che fu staccata e inserita nell’altare maggiore della Chiesa, eretto per l’occasione.
Rinnovata nel Seicento e Settecento in stile barocco, la Chiesa presenta un’elegante facciata disegnata dall’architetto Ignazio Pellegrini (1758): sopra la porta d’ingresso è posta l’epigrafe del 1115 che ricorda la vittoriosa impresa delle Baleari contro i musulmani (1113-1115). L’interno di Santa Maria dei Galletti è di intime dimensioni, a navata unica con una piccola cappella su ciascun lato e conserva un prezioso soffitto seicentesco a cassettoni dorati con incastonati i dipinti su tela di Jacopo Vignali (Crocifissione), Cecco Bravo (Via Crucis) e Francesco Curradi (Cristo e Pilato). Sulle pareti si possono apprezzare eleganti decorazioni a stucco e ai fianchi dell’altare due graziose statue lignee settecentesche con angeli porta candelabro.
Chiesa di Santa Maria (o della Madonna) dei Galletti
Lungarno Pacinotti, angolo Via Curtatone e Montanara
Ingresso gratuito: Domenica e festivi ore 9.50-11.10;
dal 1° Ottobre al 30 Giugno da lunedì a venerdì ore 16.30-19.00
Chiusura: sabato
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