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Marco Calliari, lo chansonnier italiano


di Lorenzo Cavalca

Marco Calliari in azione

Marco Calliari in azione

Con il concerto all’ExWide del 20 febbraio Marco Calliari ha inaugurato il Pisa Carnival Week. LaKinzica è riuscita a catturare l’artista, il cantante più famoso al mondo a cantare in Italiano dall’altra parte dell’Atlantico. Marco Callieri gentile e disponibilissimo ha risposta alle nostre domande. Allora Marco come è andato il concerto?
«È andato benissimo io, i Matti delle Giuncaie ed Erriquez dei Bandabardò (che accompagnavano Marco, NDR)  eravano scatenati e il pubblico si è scaldato subito. È stato bello è molto divertente.»

Non è la prima volta che suoni a Pisa vero?
«Verissimo! Ho già suonato nella vostra città una decina di volte: all’ExWide, all’Arno Vivo, al Cantiere San Bernardo. Conosco quasi tutti i posti dove si suona a Pisa ah ah ah!»

Facciamo qualche passo indietro nel tempo: hai esordito musicalmente in campo metal con gli Anonymous, ma un certo punto il tuo percorso musicale ti ha portato altrove: a scoprire, approfondire e suonare la musica italiana. Raccontaci come è andata.
«Beh gli Anonymous rappresentano per me la nascita come musicista. È la band che ho messo su insieme ad amici dei tempi della scuola: tutti figli di immigrati a Montreal, due di origine italiana e altrettanti di origine cilena. Ci siamo divertiti un sacco a suonare e a pubblicare una serie di dischi che erano sì metal ma aperti ad innumerevoli contaminazioni. Ci piaceva insomma esplorare. Da parte mia ho sempre avuto la passione per la musica italiana, così per un po’ di tempo ho tentato di tenere i piedi in due staffe: suonare con gli Anonymous e a portare avanti la mia carriera solista. La cosa non ha funzionato e ho dovuto fare delle scelte: mi sono dedicato alla mia carriera.»

Sei ancora in contatto con gli altri membri degli Anonymous?
«Certo sono miei amici e quando posso mi piace salire sul palco con loro e suonare un po’ di pezzi! Sono sempre un grande chitarrista e cantante metal ah ah ah!»

I tuoi genitori hanno origini italiane e come molti loro connazionali avranno avuto uno stretto legame con il loro paese di origine. Quali sono i ricordi  della tua infanzia che ti ricollegano all’Italia?
«Tutto. Era ed è quasi come vivere in Italia a qualche migliaio di chilometro di distanza. Mia madre ha origini milanesi e mio padre è del Trentino: entrambi sono rimasti sempre molto attaccati al loro Paese e non se ne sono mai staccati. L’italiano è la mia lingua madre e in casa dunque si parlava, e si parla, italiano, si mangia italiano, si ascolta la musica italiana, l’opera soprattutto, e la radio italiana (quella di Montreal).»

Dopo che hai visitato molte volte il nostro Paese che idea ti sei fatto del pubblico italiano?
«Mi sono accorto fin da subito che suonare in Italia è ben diverso che suonare negli USA o in Canada. Forse dipende dal fatto che in Canada parte degli spettatori che viene ai miei concerti ha origine italiana, fatto sta che il concerto è seguito con molta partecipazione e con un’aurea di rispetto. In Italia, quando suono davanti a un pubblico che non mi conosce riscontro un po’ non dico di chiusura ma certamente di diffidenza. Per me rappresenta una sfida: suonare in Italia per “aprire” il pubblico italiano.»

Dopo il primo album “Che la vita”, l’omaggio alla canzone italiana di “Mia dolce vita” ricco di cover di canzoni classiche e moderne di musica italiana, hai pubblicato “Al faro Est”: l’album contiene brani ricchi di sfaccettature, dagli arrangiamenti “atipici” e pieni di influenza jazz/swing/pathanka. Ho trovato delle affinità con il sound di artisti quali Vinicio Capossela, Bandabardò. Tu come lo definiresti?

«A essere onesto quando ho iniziato la mia carriera da solista non sapevo neppure chi fossero Vinicio Capossela o i Bandabardò. Mi sono ispirato a Renato Carosone, un grandissimo che decenni fa è stato il primo a mischiare swing, tarantella e ritmi latini. I testi delle mie canzoni sono in Italiano, ma definerei la mia musica come World music . È ricca di contaminazioni: c’è musica latina, c’è swing, c’è blues, c’è la musica caraibica, ci sono alcuni riferimenti alle melodie della canzone italiana.»

Come viene accolta la tua musica negli USA, in UK e in Canada? Nel regno unito una rivisitazione della tua canzone “We no speak americano” è entrata nella top 30.
«La versione di “We no speak americano” a cui ti riferisci è una cover elettronica fatta da un dj di Montreal: non mi sono mai interessato più di tanto a questa iniziativa e non l’ho promossa. Il mio mercato principale è il Quebec, dove oramai ho ottenuto una notevole visibilità nell’ambito della world music grazie ai miei album che in questa regione hanno venduto più di 100.000 copie. Per il resto suono spesso negli USA e nel Canada Occidentale e i concerti sono sempre molto divertenti.»

Dal vivo sei accompagnato dai Matti delle Giuncaie e da Erriquez dei Bandabardò? Come vi siete conosciuti e come li hai coinvolti nei tuoi tour italiani?
«Beh a suo tempo un’amica mi fece notare che io e i Bandabardò suonavamo in Italia negli stessi locali…così li ho contatti per conoscerli e con Erriquez siamo entrati subito in sintonia. È stato poi lo stesso Erriquez a presentarmi i Matti delle Giuncaie dopo un concerto proprio a Pisa.»

C’è qualche artista italiano con il quale vorresti suonare o collaborare?
«Mi piacerebbe collaborare nel mio prossimo album con l’amico Peppe Voltarelli (ex-cantante del Parto delle Nuvole Pesanti, autore di tre album da solista e scrittore, NDR)

Che cosa c’è nel futuro di Marco Calliari?
«Date, concerti e tour…a parte questo sto organizzando per l’autunno uno spazio in un locale di Montreal da dedicare  ai concerti di band italiane accompagnati da spettacoli di Cabaret. Sarà una bella sfida! Grazie per l’intervista e alla “prossima”!»

Per informazioni
Marco Calliari
www.marcocalliari.com
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