di Lorenzo Cavalca
Il 7 dicembre il Leningrad Café ospita il concerto (a ingresso gratuito) dei Gentless3 quartetto siciliano originario di Ragusa che ha fatto drizzare le antenne alla critica nostrana con l’album “I have buried your shoes down by in the garden”: sette ballate, sette gemme musicali nelle quali sono perfettamente incastonate melodie decadenti, sussurri malinconici, suadenti armonie venate di dolore e romanticismo espresse con stile ed ideate da un songwriting maturo e originale. Una ventata d’aria fresca nel panorama della scena non mainstream italiana spesso un po’ troppo infarcita da richiami al punk, alle formule dell’indie-rock d’oltre Oceano e da sperimentazioni elettroniche. Per saperne di più laKinzica ha rivolto qualche domanda a Carlo Natoli (voce e chitarra dei Gentless3).
Qual è la storia dei Gentless3?
«Il progetto è nato un paio di anni fa, l’idea era quella di comporre canzoni “nude e crude”, chitarra baritono e voce. Ho deciso di registrare un promo nello studio che io e Sergio (Occhipinti, l’altro chitarrista dei Gentless3) abbiamo in piena campagna iblea. Da quei giorni estivi, in compagnia di vari musicisti e amici di passaggio sono nate le registrazioni, poi diventate un disco, e poi una band che nel frattempo si è stabilizzata con Sebastiano Cataudo (batteria) e Floriana Grasso (pianoforte e organo).»
Ho letto che l’ispirazione di alcuni brani di “I have buried your shoes down by in the garden” è nata da letture di Raymond Carver. Riferimenti letterari nella musica attuale sono merce rara, puoi spendere qualche parola su questa inspirazione e sul rapporto musica-lettaratura legato alla storia del disco?
«Beh i testi del disco, in una prima versione abbozzata, hanno preso forma grazie ad alcuni esercizi di scrittura creativa in inglese che stavo studiando. La scrittura asciutta di Carver mi sembrava un ottimo metodo per concretizzare in modo fluido e minimale alcune delle storie che stavo vivendo. Poi la scrittura è stata rifinita tante volte, per cercare di rendere le liriche meno complesse e usare il minimo 2dispendio” verbale possibile. Negli ultimi due anni sto affrontando lo stesso processo con la scrittura di Cormac McCarthy, e molte delle cose che andranno nel nuovo disco, saranno meno “urbane”.»
Dietro lo strano titolo dell’album, “I have buried your shoes down by in the garden”, c’è una storia o è venuto per caso?
«C’è una piccola storia, che ha a che fare con un momento di transizione della mia vita. Avevo buttato dentro questo disco molte delle mie personali maledizioni e prospettive future. Era già un atto traumaturgico forse anche psico-magico, ma sentivo che doveva succedere qualcos’altro. Un giorno il cucciolo di cane dello studio ha mangiato le scarpe della mia compagna. Senza pensarci le ho seppellite in una buca in giardino, proprio sotto il palco dove da 3 anni amici vecchi e nuovi suonano al nostro micro-festival estivo. Mi sono assicurato di avere un pezzo fondamentale della mia vita, vicino alle cose che faccio tutti i giorni.»
Per descrivere “I have buried your shoes down by in the garden” molti (commentando positivamente il disco) hanno tirato in ballo (ai giornalisti si sa piacciono le etichette e i riferimenti) band indie/alternative rock (Red House Painters, Codeine) folk (Cohen, Drake, Dylan) psicadelia-prog (Pink Floyd era Barret, Porcupine Tree). Sono nel giusto?
«Molti di questi sono ascolti che abbiamo fatto, come tanti altri, nel corso degli anni. In realtà, credo, le canzoni sono sempre il risultato di qualcosa di immediato, legate al momento nel quale le scrivi e le registri. Per me il sub-consciente musicale è qualcosa di troppo complicato da indagare.»
“I have buried your shoes down by in the garden” è un album difficile da “etichettare”: trasmette però quella malinconia in musica quell’impellenza di parlare del passato, soprattutto brutto, in funzione catartica, quell’uso di melodie intimistiche/cupe e di riff rarefatti tipico di quello che alcuni chiamano gothic-rock (gli ultimi Anathema e soprattutto i grandiosi Antimatter di Mike Moss). Conosci questi artisti e trovi delle similitudini tra la vostra musica e la loro?
«Non li conosco troppo bene: mi pare che come nel nostro caso scrivano canzoni, anzi ballate, decisamente rarefatte, forse per questo ci vedi delle somiglianze. In ogni caso, trucco e vestiti neri a parte, l’anima siciliana è gotica di per sé, per cui volendo….»
Nella composizione dei brani e nella registrazione dell’album, avevi in mente delle coordinate stilistiche di riferimento (band artisti, generi) o tutto è fluido con la massima naturalezza?
«Ho registrato tutte le canzoni e poi gli altri hanno dato il loro contributo con un minimo di orchestrazione da parte mia. L’idea generale era comunque di fare suonare lo studio, che ha delle acustiche molto belle, e cercare di captare l’atmosfera surreale dei monti iblei che sono intorno. Come sempre, durante le pause non c’è mai il tempo di ascoltare musica: giusto la sera guardavamo vecchi film, che forse hanno influito più sul nostro umore che sulla musica in sé.»
Avete in programma altre date per supportare l’uscita di “I have buried your shoes in the garden”?
«Siamo in tour da un mese circa e andremo avanti fino a metà dicembre. E poi di nuovo con l’anno nuovo, da febbraio in poi. Nel frattempo suoneremo in giro per il sud, e lavoreremo ai pezzi del disco nuovo.»
Gentless3 – 7 dicembre (ore 22:00) Leningrad Café (via Silvestri 5)