Non fu avvelenato dai suoi nemici, né morì a causa della malaria: la morte di Enrico VII fu causata dagli effetti della cura deletaria per l‘antrace (o carbonchio), malattia contratta un anno prima del decesso probabilmente da uno dei suoi cavalli e che prevedeva la somministrazione di piccole dosi di arsenico. La malattia si era manifestata con una piaga al ginocchio e l’infezione fu causata molto probabilmente da un cavallo malato che è uno dei principali vettori di diffusione di questa infezione.
Il mistero che per sette secoli ha accompagnato la morte dell’Imperatore avventua a Buonconvento nel 1313 si è così risolto grazie alla ricerca condotta da Francesco Mallegni, docente dell’Università di Pisa e direttore del Museo archeologico dell’Uomo di Viareggio, e dalla squadra in collaborazione con il Centro Ricerche e Servizi Ambientali (CRSA) di Ravenna, e il supporto per la parte storica di Maurizio Vaglini, direttore del Centro Interregionale per la Documentazione Bibliografica e Archivistica Biomedica dell’Arte Sanitaria di Roma.
La ricerca del pool guidato dal professor Mallegni ha fatto luce sul rituale funerario a cui fu sottoposto il cadavere del sovrano durante il trasporto da Buonconvento a Pisa. Il corpo fu trasportato da Buonconvento su una lettiga “come se fosse ancora vivo” per non far sapere della sua morte. Il fetore che emanava il cadavere, unito al lezzo della piaga, obbligò a una sosta a Paganico dove gli fu tagliata la testa, il corpo fu poi bollito nell’acqua, (in seguito letteralmente spolpato) e lo scheletro fu bruciato su di una pira.
Grazie alle analisi antropologiche, il professor Mallegni ha potuto ricostruire il cranio e il calco di Enrico VII, le cui sembianze non si discostano da quelle riportate nelle fonti storiche: un uomo dal volto gradevole, da naso sottile, dalla bocca ben formata. La ricerca ha poi svelato altri particolari sull’Imperatore: il sovrano era alto per l’epoca (1.78 m), e aveva un struttura da cavaliere (con gli arti inferiori più robusti dei superiori). .