di Lorenzo Cavalca
Francesco Barbi è un giovane scrittore pisano (classe 1975). Il suo primo romanzo, l’Acchiapparatti edito nel 2007 da Campanila è stato accolto dai siti specializzati italiani come una ventata d’aria fresca nel sonnolento fantasy letterario italiano dominato da urban-fantasy vampireschi e da cloni di Licia Troisi, e ha attirato su Barbi l’interesse di un grosso editore: Dalai. Barbi è stato così assoldato dalla casa milanese che ha fatto uscire nel 2010 una seconda versione de L’Acchiapparatti accolta sempre positivamente dai lettori italiani di fantasy. In occasione della conferenza di presentazione, presso la Libreria Feltrinelli di Pisa, del nuovo romanzo di Barbi, Il Burattinaio (20 euro sempre edito da Dalai) LaKinzica ha incontrato l’autore e questo è quello che ci ha raccontato.
Per scrittori e musicisti, la seconda opera è considerata più difficile della prima. Si è attesi al varco per confermare il proprio lavoro e si devono soddisfare le attese e le aspettative del pubblico. È stato così anche per il Burattinaio?
«Beh, no. Ho completato la prima stesura dell’Acchiapparatti in 7/8 anni, mentre ho terminato il Burattinaio “solo” in un paio d’anni. Non è mai facile parlare con distacco di un’opera talmente personale come un romanzo, posso però dire di essere molto soddisfatto del mio ultimo lavoro. Secondo me Il Burattinaio è un’opera più matura per le scelte stilistiche e più rigorosa nel suo insieme. Ho scritto L’Acchiapparatti quasi come passatempo, nel senso che ero impegnato anche nell’attività di insegnante ed ero meno motivato non avendo un contratto alle spalle. Ho finito invece il secondo romanzo vivendo e lavorando da scrittore. Con la riforma Gelmini le opportunità di insegnamento si sono ristrette, almeno per me. Quindi non ho avuto distrazioni professionali. Direi che è anche grazie alla Gelmini se ho completato la stesura in “soli” due anni.»
Ti consideri dunque uno scrittore a tempo pieno?
« Più che essere uno scrittore faccio lo scrittore, visto che vivo e lavoro come tale. Per sentirmi uno scrittore credo che dovrei vivere grazie a questo mestiere, e al momento non è ancora il mio caso.»
Come la seconda versione de L’Acchiapparatti, il Burattinaio è edito da Dalai. Come sei entrato in contatto con quello che è uno dei più noti editori italiani indipendenti?
«Mi ha contattato direttamente l’editore, o meglio mi ha telefonato Cristina Dalai dicendomi che aveva letto L’Acchiapparatti (su segnalazione di un collaboratore) e che le era piaciuto molto… Mi confessò di non apprezzare granché il genere fantasy tradizionale e che non considerava il mio romanzo un fantasy. Fatto sta che dopo quella telefonata è iniziata la mia collaborazione con l’editore.»
Puoi accennare ai lettori qualcosa sulla storia raccontata nel Burattinaio?
«Non c’è niente di peggio che rivelare particolari che diano indizi sui risvolti della trama e sulla vicende dei personaggi. Posso però dire che il romanzo si apre al crepaccio nelle Terre di Confine, là dov’era terminato l’Acchiapparatti. Inviato dall’Arconte Ossor, un manipolo di Guardiani dell’Equilibrio indaga sulla scomparsa del boia di Giloc, precipitato poco più di quattro anni prima nella voragine, e si reca nel vicino paese di Tilos, dove interroga la popolazione per cercare le prove della comparsa di un presunto stregone… A partire da questa indagine iniziale si dirameranno poi i diversi filoni della trama.»
Il fatto che tu scriva in una terza persona immersa, ovvero sposando il punto di vista dei diversi personaggi (modalità di scrittura tipicamente anglosassone), ti distingue dalla stragrande maggioranza degli scrittori italiani (non solo di fantasy) che adottano in genere il sistema della terza persona onniscente con lo scrittore che “dall’alto” dà spiegazioni e commenta la storia. Nel Burattinaio i personaggi del libro ne sanno insomma quanto il lettore. Da dove nasce questa scelta?
«Dalla convinzione che questa sia una scrittura al passo coi tempi. Mentre prima mi facevo guidare molto dall’istinto per poi riflettere in seconda battuta sulle scelte stilistiche, adesso certe acquisizioni influenzano ed entrano prepotentemente nella costruzione del testo (e non solo nella revisione). La storia, il doverla seguire e mostrare (non raccontare) attraverso un susseguirsi di scene e punti di vista, ha determinato l’uso di molti protagonisti. Per questo Il Burattinaio è un romanzo corale, con tanti personaggi che entrano a far parte della storia e si alternano nel portare avanti la trama.»
C’è qualcosa del Francesco Barbi pisano nel Burattinaio?
«Ogni scrittore scrive di quello che vede, di ciò che conosce e di quello che legge. Personalmente mi sono ispirato alla campagna pisana e toscana, ai borghi e ai vicoli medievali, per descrivere molti luoghi e ambientazioni del romanzo. Chi è originario delle mie parti non farà fatica a riconoscere in alcune di queste descrizioni dei luoghi più o meno familiari.»
Quali sono i romanzi migliori che hai letto ultimamente e i tuoi autori preferiti?
«Sono un lettore onnivoro e leggo un po’ di tutto. Tra gli autori contemporanei mi piacciono molto Don Wislow, Joe Lansdale, Niccolò Ammaniti oltre a Georges Simenon che ha sempre uno stile attualissimo. Tra i romanzi fantasy mi sono piaciuti “Gli inganni di Locke Lamora” di Scott Lynch, “Il Nome del vento” di Patrick Rothfuss e “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George Martin. Tra i classici un posto particolare nel mio cuore è occupato dallo “Hobbit” di Tolkien e dalla saga dei Drenai di David Gemmel.»
Il Burattinaio è ricchissimo di personaggi. Ce n’è qualcuno al quale sei particolarmente affezionato?
«Tutti i personaggi che creo esercitano su di me un certo fascino. La differenza sta, come dire, nell’impatto che ciascun personaggio ha nello sviluppo del romanzo: in alcuni è facile immedesimarsi e questi si “raccontano” da soli; altri invece hanno preteso un grande sforzo prima di poter essere messi in scena. Sono quelli più lontani da me nella morale, nei comportamenti e nel modo di fare. Nel romanzo ci sono molti personaggi “strani”, dal gigante che parla storpiando antichi proverbi all’Acchiapparatti, da una parte completamente folle, dall’altra geniale, quasi oracolare. Per renderli verosimili e coerenti ho dovuto studiare, fare ricerche, accumulare materiale e pensare molto. Sono convinto però che tutta questa fatica abbia dato spessore al libro.»
Il Burattinaio ha le caratteristiche che fanno di un romanzo ad ambientazione fantasy un romanzo avvincente: la suspence del thriller, gli intrighi del “giallo”, l’adrenalina dei romanzi di avventura, il pathos di un dramma. Volendo indagare ancora più a fondo in alcune tematiche del libro si possono rintracciare anche alcuni riferimenti a problematiche attuali: l’inquinamento, il nucleare, il ruolo della religione. Confermi?
«Sì, ma si tratta di riferimenti non cercati. Come ho detto in precedenza lo scrittore è un uomo che vive immerso nel contesto sociale e culturale di cui fa parte ed è probabile che nell’elaborazione dell’opera qualcosa “filtri” dalla realtà al racconto, ma nel mio caso si tratta di metafore non pianificate né volute.»
Che cosa c’è nel futuro del Francesco Barbi autore?
«Beh, innanzitutto mi prenderò un periodo di meritato riposo. Poi tra un po’ ricomincerò a lavorare a un libro di racconti di fantascienza iniziati quando scrivevo L’Acchiapparatti. Il titolo provvisorio è “Marchi Indelebili”: si tratta di una serie di storie che hanno vicende e personaggi legati tra loro, un po’ come accade in alcune fiction trasmesse in TV.»
Il Burattinaio (edito da Dalai) è disponibile in libreria a 20 euro.